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Elm e la società contemporanea.
È Bach stesso, nei documenti originali, ad utilizzare la parola “depression” che si innesca quando la persona viene colta dalla sensazione appunto, che il compito intrapreso sia troppo difficile. Espressa in questi termini, questa sensazione potrebbe indurci a pensare che il rimedio “Elm” sia esclusivamente transitorio e da impiegarsi solo nei casi in cui si verifichino tali condizioni straordinarie di affaticamento e stress.
Stress è in effetti una parola chiave per il soggetto Elm che, preso dagli impegni, si dimentica di sé stesso per proseguire nel proprio compito, impegno, lavoro, etc. dichiaratamente perfezionista, puntuale, iperattivo, il nostro Elm potrebbe essere un soggetto molto efficace nella società contemporanea che ne elogia le doti e trova per lui occupazioni di rilievo anche se questa sua poca voglia di delegare il proprio lavoro ad altri, cozza con le moderne teorie della costruzione del Team dove invece, al contrario, si tende a trovare soggetti in grado di delegare efficacemente. Tuttavia Elm è stato, proprio per via dei motivi suddetti, sempre definito il fiore dei manager, delle persone in carriera. Persone con uno spiccato senso di responsabilità, che vivono per il proprio lavoro, a volte a scapito dei sentimenti e delle relazioni familiari.
Possiamo, detto questo, pensare che il soggetto Elm, sia non solo in uno stato transitorio, bensì in una condizione permanente di stress, volta al raggiungimento di obiettivi sempre più pressanti? Si.
Possiamo pensare che farebbe volentieri a meno dello stress, gestendo meglio il proprio bagaglio emozionale se si presentasse la consapevolezza che è possibile fare ciò che si fa senza stress? Si.
Possiamo pensare che dietro alla persona Elm vi sia qualcuno che vive con profondo stress tutte le situazioni della vita, una persona che, sganciata dalla propria naturale capacità di percepire sé stesso – emotivamente parlando – in una cornice lavorativa positiva o in una dinamica rispettosa dei tempi di riposo, si faccia carico di situazioni che diventano ingestibili per le proprie risorse poiché egli ha, nella testa, l’idea di “dover fare bene e tutto” a tutti i costi? Si.
Possiamo quindi anche pensare ora, alle origini psicodinamiche di un soggetto Elm. Egli ha a che fare con una famiglia d’origine in cui il quadro emotivo è sempre rimasto distaccato dall’intero. Una famigli dove l’intelligenza emozionale non brillava di certo e dove probabilmente il “dover fare” era imperativo. Così il bambino Elm ha appreso a non fidarsi delle proprie emozioni, a non crearsi pause di gioco per seguire i ritmi estenuanti dei genitori, per i quali tutto doveva essere perfetto. La mitica “donnina di casa” appartiene a questa schiera di persone. Anche la tendenza a non delegare ci aiuta a capire che la mancanza di fiducia nell’altro che deriva dall’isolamento e dal doversi arrangiare, di riporta a quel famoso “chi fa da sé, fa per tre”, tipico proverbio Elm. La costruzione dei ritmi Elm ha quindi origini che fondano la loro verità in un quadro di disapprovazione sociale da parte delle figure genitoriali, che cercano di stimolare all’attività incessante quando invece dovrebbero fermarsi per un attimo e chiedersi di cosa hanno realmente bisogno i loro figli. Questa incapacità (dei genitori) viene trasmessa ai figli per via osmotica, così anche i futuri manager Elm impareranno a non riconoscere i loro reali bisogni e a fondare la loro intera esistenza sull’immagine positiva riflessa dallo specchio.
Assumere l’essenza riporta a centrarsi sui reali bisogni, ci permette di ascoltarci in maniera più profonda, a capire come procedere per raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissi in maggiore accordo con il nostro sentire profondo e con il più totale rispetto per noi stessi ed i nostri ritmi di vita
(articolo di Max Volpi)
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